L’abito immaginato negli albi illustrati. Un contributo

L’abito immaginato negli albi illustrati. Un contributo

3 Febbraio 2021 Off Di Claudia Pazzini

E’ uscito da poco nellultimo numero della rivista letteraria Journal of Literary Education un mio saggio critico sul tema del vestiario negli albi illustrati. Un paio di anni fa, alcuni titoli molto interessanti hanno stimolato alcune mie riflessioni sul ruolo e il significato degli indumenti nell’evolversi della storia narrata.

I titoli che vengono indagati in questo contributo sono quelli che, a mio avviso, sollevano maggiormente l’interrogativo del ruolo dell’abito nella letteratura per l’infanzia contemporanea, ossia in che modo questi libri riescono a restituire il punto di vista del bambino nel suo modo di rapportarsi con l’abito.

Se nella visione dell’adulto l’abbigliamento viene generalmente ridimensionato alla sua funzione strumentale e sociale, questo non accade secondo il punto di vista del bambino, il quale attraverso la dimensione del gioco o della lettura è capace di amplificare la sua percezione della realtà dando libero corso al proprio immaginario, fondendo armoniosamente reale e fantastico, visibile e invisibile, mondo interiore ed esteriore.

L’abito si connota dunque come un linguaggio a tutti gli effetti, “un sistema di segni attraverso cui gli esseri umani delineano la loro posizione nel mondo e il loro rapporto con esso” (Calanca).  Questo è il potere che esercita l’abbigliamento sull’infanzia: il vestito investe il corpo di significato, lo espone ad una trasformazione, sia dal punto di vista estetico che psicologico. E’ un mezzo per creare una relazione tra l’individuo e il mondo esterno.

Non a caso, il primo elemento interessante che emerge dal confronto degli albi illustrati presi in esame, accomunati dall’oggetto-abito come pretesto narrativo, è la dicotomia tra i vestiti imposti e quelli desiderati, tra il mondo degli adulti che utilizza gli indumenti come convenzione per comunicare un ruolo professionale,  sociale o economico e il mondo dell’infanzia che invece vede nell’abito un mezzo per esprimere la propria personalità e i propri desideri. Da questa premessa deriva il termine “abito immaginato”, ossia quell’oggetto ordinario e convenzionale che nell’immaginario infantile si trasforma in un catalizzatore di emozioni dove proiettare la parte più intima di sé, a volte tenuta nascosta, altre repressa, molto spesso ignorata dagli adulti.

Il mio libro preferito da bambina che ancora conservo. Adela Turin, Nella Bosnia, Rosaconfetto, Edizioni dalla parte delle bambine, 1975.

Negli anni Settanta, il libro che per eccellenza ha incarnato la relazione tra l’abito convenzionale e opprimente e quello immaginario desiderato dall’infanzia è stato Rosaconfetto, dove si racconta la storia di un’elefantina grigia, ancora oggi pubblicata spesso in molti paesi europei per la validità e  attualità dei suoi contenuti. Questa elefantina, infatti, è simbolo di una trasgressione liberatoria versi i ruoli sociali imposti: la piccola non diventa rosa come le sue compagne, nonostante i vestiti rosa fatti indossare dai genitori per “incoraggiare il color rosa a venire”, malgrado tutte le peonie e gli anemoni mangiati, con il risultato di deludere le aspettative della sua comunità. La svolta verrà quando l’elefantina diversa esce dal recinto e raggiunge i maschi per prendere finalmente in mano la sua vita. In seguito anche le altre amiche seguiranno il suo esempio, recuperando così la loro  epidermide grigia. Al di là della tematica sugli stereotipi di genere implicita nella storia[1], c’è un altro aspetto sul quale vale la pena soffermarsi: il ruolo dell’abito come elemento identitario nell’infanzia. Il momento catartico della storia di Rosaconfetto è quello in cui Pasqualina corre felice fuori dal recinto spogliandosi  dei suoi abiti rosa. Un vero e proprio colpo di scena. E’ la metafora di una bambina che rinuncia ad un vestito bellissimo ma pensato e confezionato da adulti che non hanno mai tenuto in considerazione i suoi desideri, né la sua vera indole.

Pasqualina esce dal recinto e si libera dei vestiti rosa. Adela Turin, Nella Bosnia, Rosaconfetto, Edizioni dalla parte delle bambine, 1975.

Il passo successivo alla ricerca della propria identità attraverso l’abito è la manifestazione dell’esigenza del bambino di affermare nel mondo la propria individualità che si estrinseca spesso nella produzione letteraria attuale attraverso l’opposizione alla repressione dell’adulto con un atto trasgressivo liberatorio, sull’onda della ridda selvaggia di Max, celebre personaggio di Maurice Sendak. Giordana Piccinini in un suo recente articolo sul fenomeno letterario delle bambine ribelli, descrive l’incontenibilità tipica dell’infanzia come una “sovversione radicale ma non premeditata” (Piccinini), una vera e propria trasgressione contro le aspettative e le categorie astratte dell’adulto che si manifesta nella forma del nascondimento, del travestimento, della fuga avventurosa. Non è un caso che gli albi illustrati per bambini più riusciti siano quelli che raccontano con maggior onestà l’aspetto dirompente, autentico, sovversivo dell’identità infantile; basti pensare all’insuperato Nel paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak che, a distanza di cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione negli Stati Uniti, è ancora oggi un successo planetario. L’aspetto selvaggio dell’infanzia ritorna con forza in un albo attuale Il Signor Tigre si scatena di Peter Brown.

Il signor Tigre si scatena, Peter Brown © 2017 Editrice Il Castoro Srl; Titolo originale: Mr. Tiger Goes Wild, Copyright © 2013 Peter Brown

In un’ ordinata grigia città dove tutti vivono uniformati, civilizzati e felici un solo abitante è scontento, l’unico che ha mantenuto il suo brillante colorito naturale, il Signor Tigre, che invece sente sempre di più il bisogno di lasciarsi andare, finché un giorno ha “un’idea selvaggia”: riprendere a camminare a quattro zampe, poi a ruggire, fino a spingersi oltre, togliendosi i vestiti eleganti ma costrittivi, rimanendo nudo sotto gli occhi sgomenti e disgustati degli altri concittadini. Trasformandosi in un selvaggio, in un diverso, il Signor Tigre viene respinto dalla comunità e si trasferisce in una verdeggiante foresta riappropriandosi definitivamente della sua vera identità. Sentendo la nostalgia di casa,un giorno torna in città e sorprendentemente la trova cambiata: chi veste abiti casual, chi eleganti, chi cammina su due zampe, chi su quattro. Il suo atto trasgressivo aveva aperto la strada all’accoglienza delle diversità. Così il Signor Tigre riprende la sua vita libero di essere se stesso, vestendosi come meglio ritiene, libero dal peso del giudizio altrui perché il suo pensiero e le sue scelte sono condivise ed accettate. All’inizio della storia i vestiti rappresentano una maschera sociale, un’ipocrisia collettiva, una costrizione per poi diventare una forma di libera espressione individuale, di molteplici stili di vita e molteplici identità che possono essere racchiuse nella stessa persona.  Cos’è cambiato nel percorso di trasformazione? L’interpretazione dell’abito negli occhi di chi lo guarda. La trasgressione del Signor Tigre-bambino alle regole civilizzanti degli adulti-concittadini innesca il cambiamento dello sguardo sull’abito e sulla persona. Seppur il Signor Tigre presenti diversi punti di contatto con Rosaconfetto, gli epiloghi delle due storie portano ad esiti diversi. Mentre le elefantine abbandonano  definitivamente i restrittivi abiti rosa in nome di una libertà non negoziabile, ne Il Signor Tigre, dopo un iniziale rinnegamento, essi vengono recuperati, ma non passivamente.

Il signor Tigre si scatena, Peter Brown © 2017 Editrice Il Castoro Srl; Titolo originale: Mr. Tiger Goes Wild, Copyright © 2013 Peter Brown

Oltre al classico completo elegante, il vestiario si amplia con indumenti più pratici ed informali che si possono alternare. Il mondo convenzionale può essere rinnovato, modulato, trasformato con un atto di “trasgressione naturale”. L’abito-etichetta sociale di cui disfarsi diventa, attraverso un percorso di metamorfosi, un linguaggio pieno di possibilità con cui esprimere se stessi. Persino la nudità può diventare un vestito da indossare come antidoto all’ipocrisia.


Il mondo convenzionale può essere rinnovato, modulato, trasformato con un atto di “trasgressione naturale”. L’abito-etichetta sociale di cui disfarsi diventa, attraverso un percorso di metamorfosi, un linguaggio pieno di possibilità con cui esprimere se stessi.

In Rosaconfetto il tema è l’emancipazione femminile, la libertà di essere se stessi; il testo narrativo descrive anemoni e peonie, l’epidermide rosa dei pachidermi femmina e accenna all’abbigliamento rosa solo marginalmente e in chiave strumentale al messaggio che la storia veicola, mentre  nelle illustrazioni di Nella Bosnia emergono continuamente in primo piano, di pagina in pagina, proprio le cuffiette e le scarpette rosa che diventano un vero e proprio liet motif estetico del libro, sempre presente, fino al punto da diventare una sorta di alter ego dell’elefantina che prende vita e che segue di pari passo l’evoluzione delle vicende raccontando una silenziosa storia parallela: prima le vediamo indossate diligentemente, poi gettate a terra dall’elefantina mentre scappa via e infine afflosciate e abbandonate in una suggestiva doppia tavola in cui diventano tragiche protagoniste, in una distesa di stoffa rosa ravvivata solo da qualche animaletto curioso che fa capolino.

Adela Turin, Nella Bosnia, Rosaconfetto, Edizioni dalla parte delle bambine, 1975.

Ne Il signor Tigre si scatena già dalla copertina si evidenzia la dicotomia civilizzato/selvaggio che caratterizza il racconto: il protagonista è vestito di tutto punto con un completo scuro elegante e tuba in testa nel mezzo di una florida foresta tropicale. Ancora una volta l’abbigliamento non è il punto centrale della narrazione, non viene nemmeno menzionato, eppure nelle illustrazioni di Peter Brown, che è anche autore del testo, gli indumenti si caricano di una forte valenza narrativa: dapprima, nella grigia città si vedono animali di ogni specie, anche cuccioli, vestiti con vestiti raffinati ma anche costrittivi che riecheggiano la moda ottocentesca, tutti rigorosamente neri. Gettando via gli indumenti imposti, il signor Tigre si spoglia anche del ruolo sociale e del condizionamento del giudizio sociale, arrivando a conquistare una libertà di espressione che si traduce nelle illustrazioni nel brillante color arancio della sua pelliccia riscoperta che non a caso diventa la nota cromatica dominante dell’albo. L’evoluzione dell’abbigliamento del signor Tigre dal rigido smoking, allo scandaloso nudo integrale fino allo stile casual, mostrata unicamente nelle immagini e mai descritta nel testo, rivela un secondo livello di lettura della storia che può essere liberamente colto dal lettore oppure no. E’ un arricchimento narrativo e semantico che apre a nuovi interessanti ambiti di interpretazione e di riflessione, come  appunto quello del tema dell’abito immaginato qui discusso, inteso come abito desiderato, ossia un’identità da conquistare o riconquistare con un atto di coraggio e di autoaffermazione.

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