Metti Rodari al museo…

Metti Rodari al museo…

23 Gennaio 2020 Off Di Claudia Pazzini

Quest’anno ho progettato per Palazzo Sorbello due nuovi moduli didattici per la scuola primaria. Uno in particolare sta riscuotendo molto successo ed è quello dedicato a Gianni Rodari, che ho proposto in occasione del centenario della nascita. Nei miei progetti didattici museali congiungo sempre contenuti storico artistici ad attività che utilizzano l’albo illustrato come medium per avvicinare i bambini al contesto non sempre accessibile del museo. Il museo è un luogo non del tutto familiare per i bambini. Molti non ci sono ancora mai stati. Il museo è un luogo difficile da decifrare. Il bambino è bombardato di stimoli visivi attraverso una moltitudine di oggetti, spesso iconograficamente complessi, per cui la distrazione o il rapido disinteresse sono minacce ineluttabili con cui un bravo educatore si deve misurare quotidianamente.


Due sono le criticità che secondo me emergono maggiormente nel corso di un’attività didattica museale: l’impatto con la linea temporale degli oggetti esposti e la mancanza di strumenti adeguati per decifrare il codice linguistico delle arti visive, molto sottovalutate nel nostro paese.

Per quanto nelle mie ricerche e nelle mie pubblicazioni scientifiche da storica dell’arte la contestualizzazione storica e il riferimento maniacale alle fonti siano parametri imprescindibili per la comprensione e la ricostruzione di un’opera o una collezione d’arte, altrettanto non si può dire quando opero in qualità di operatrice museale con l’infanzia. Non rinuncio alla trasmissione dei contenuti, ma li adatto alle competenze dei miei piccoli interlocutori.

Per cui, come primo elemento di un progetto didattico museale, in particolar modo per il target dell’infanzia, ritengo che sia importante saper rinunciare agli accademismi a vantaggio di una fruizione efficace del patrimonio.

Nel caso specifico di Palazzo Sorbello, una casa museo del Settecento, fortemente caratterizzata dal contesto storico in cui si formano le collezioni d’arte, la sfida di rendere accessibile ma soprattutto coinvolgente l’esperienza di visita dei piccoli visitatori e ancor di più delle classi di scuola primaria è particolarmente impegnativa.

Locandina della EL Edizioni per il centenario di Rodari


Il primo obiettivo che mi sono prefissata è stato quello di evitare assolutamente un approccio storico. Quindi niente date, niente cronologie, niente racconti storici di feudi, proprietà, privilegi, alberi genealogici, collezionismo.


Non è facile da storica dell’arte abbandonare i propri punti fermi ma sono convinta che la didattica museale necessiti flessibilità e dinamismo, soprattutto nuovi approcci sperimentali.

Nel rivoluzionare il racconto del museo per renderlo più accessibile e accattivante per i bambini Gianni Rodari è stata una fonte di ispirazione davvero feconda!
Per questo progetto didattico sono partita da A sbagliar le storie. 
Sono riuscita fortunatamente a reperire una rara copia dell’albo illustrato da Alessandro Sanna in formato grande, fondamentale per il laboratorio con le classi. E da lì è partito tutto.


Si può sbagliare una storia. Anche la grande storia, quella con la S maiuscola. Quindi anche la storia che racconta un museo! Perché no?

Prima fase del modulo didattico su Gianni Rodari al museo: lettura di A sbagliar le storie

Il modulo didattico inizia con una bella conversazione iniziale sulle favole che mi consente di entrare in confidenza con i miei piccoli interlocutori e mi diverto molto ad ascoltare le loro preferenze in fatto di storie, favole e personaggi. Si impara molto confrontandosi con i bambini. Soprattutto faccio tesoro delle loro lacune per arricchire le mie proposte didattiche. E di lacune in fatto di storie e favole ne emergono tante! Soprattutto, questa generazione di nativi digitali, legge pochissimo o quasi niente. Quello che sanno delle favole arriva loro dai film della Disney. E spesso confondono i personaggi dei film con quelli della letteratura per l’infanzia (che di fatto non conoscono), come purtroppo accade con Harry Potter (!!). La cosa più grave, dal mio punto di vista di educatrice alle arti visive, è che ai bambini raramente viene offerta dagli adulti una alternativa valida alla massiva proposta disneyiana. Eppure quanti albi illustrati straordinari produce ormai la nostra editoria?!
Un fatto consolante, tuttavia, è che a volte, dopo la lettura di A sbagliar le storie, i bambini mi chiedono di rileggerla per quanto è piaciuta loro. E nei loro occhi leggo una gran fame di storie inespressa. Alcuni ridono (il che non è scontato, considerata la facilità ad annoiarsi per ogni cosa che non sia sul cellulare o sul computer). Altri non capiscono il gioco del ribaltamento della trama della favola, segno di uno scarso allenamento all’ elasticità del pensiero.
Dopo la lettura, faccio sperimentare alla classe la scrittura collettiva di una favola al rovescio in stile rodariano attraverso un gioco divertente che facevo da ragazzina, riesumato nei meandri più reconditi della mia memoria. Ciascun bambino, guidato da una serie di domande che pongo di volta in volta, scrive un frammento di una storia che ha immaginato e poi lascia che il compagno la prosegua senza sapere come. Ognuno passa il foglio al compagno ma mentalmente prosegue a scrivere la sua storia pur avendola frammentata e dispersa qua e là. Purtroppo non tutte le storie sbagliate riescono. Questo perché c’è chi sbaglia il passaggio dei fogli, chi non sta attento alle istruzioni, chi sbircia quello che ha scritto il compagno prima di lui. Altri, invece, entrano subito nello spirito del gioco e si divertono ad inventare le situazioni più assurde.

Lettura della storia sbagliata scritta collettivamente dalla classe

Una volta completata la storia sbagliata, ciascun bambino legge ad alta voce la storia che gli è capitata al resto della classe e subito queste storie strampalate suscitano grande ilarità. Vi faccio qualche esempio tra le migliori storie sbagliate create finora dai nostri piccoli ospiti (8 anni) :

  1. “Il Principe nel castello vuole uccidere un mostro mutaforme. Succede che si vogliono sfidare a botte. Lui dice che non è suo amico. L’altro risponde che neanche lui è suo amico”.

Insomma, si è consumata una vera tragedia….

2. “La Bella Addormentata in un bosco gioca con una bomba. Tornò al castello dove si mise a dormire. E sua sorella si sposò con il Principe”.

Come si suol dire, chi dorme non piglia principi…

3. “Cappuccetto Verde balla in camera. Incontra il pavimento che prende vita. “Come ti chiami? Sembri squisito”. Il Cappuccetto diventò un mucchio di verdure prima che il Lupo la mangiò”.

Morale, se indossi un cappuccio, prima o poi ti vogliono mangiare tutti…

Una delle storie sbagliate scritte dai bambini delle classi di scuola primaria in visita a Palazzo Sorbello

A questo punto, dopo la pausa merenda, inizia la seconda fase del laboratorio. Dopo aver imparato che una storia non è una griglia rigida e immodificabile e che si può e si deve usare la fantasia e l’ingegno in modo creativo per aprire la mente, propongo ai bambini una visita al rovescio del museo!


Come si fa una visita al rovescio? E senza troppi storicismi che appesantiscono l’approccio al museo?


Per approcciare il museo in modo stimolante ho scelto tre dettagli iconici di elementi presenti nelle sale espositive, funzionali al racconto della storia del palazzo, seppur al rovescio. Si tratta di elementi che forniscono contenuti che, come curatore museale di Palazzo Sorbello, desidero che rimangano impressi nella memoria dei bambini come esperienza della visita e come nuovi contenuti per il loro bagaglio culturale. Ho scelto lo stemma dei Sorbello, una nappa ricamata della Scuola di Ricamo del Pischiello e la prima edizione di Peter Rabbit di Beatrix Potter in rappresentanza degli albi illustrati che leggevano i bambini di Palazzo Sorbello (di cui ho parlato qui), creando una vicinanza con loro più che con i nobili marchesi di un passato troppo remoto e complesso per essere compreso.

Brainstorming di gruppo per indovinare l’oggetto misterioso del museo

Divisa la classe in tre squadre, ogni immagine viene assegnata ed ogni gruppo ha il compito di indovinare l’oggetto senza farsi sentire dalle altre due squadre. Ogni squadra poi sceglie democraticamente un rappresentante che deve descrivere il misterioso oggetto alle altre due squadre che, a loro volta, avranno il compito di provare a disegnare l’oggetto descritto. I membri di ogni squadra, dopo essersi consultati per identificare l’oggetto disegnato, decretano un rappresentante che svela le ipotesi formulate con le squadre avversarie, naturalmente senza aver mai visto le immagini degli altri. A questo punto vengono mostrate le foto e rivelato di cosa si tratta.
Mi diverte sempre molto guardare i bambini mentre provano a disegnare questi oggetti così strani. Lo stemma nobiliare è l’elemento che presenta maggior difficoltà interpretative trattandosi di un simbolo e non di un oggetto fisico e non di uso comune. Per questo tra i tre oggetti è quello che viene interpretato con più inventiva…a volte viene tramutato nello scudetto della squadra del Perugia (confondono i leoni rampanti con il grifo perugino, cosa che ai miei occhi di romana è singolare, ma per loro è l’associazione più ovvia), a volte lo stemma viene umanizzato in modo improbabile diventando un re. Altre volte ancora, lo trasformano in una specie di carro allegorico.

Ricostruzione visiva dello stemma Bourbon di Sorbello in base alla descrizione fatta dai compagni assegnatari dell’oggetto

Svelata l’identità degli oggetti misteriosi, ciascuna squadra va a ricercarli nel museo. Con questa liberatoria caccia al museo, i bambini esplorano in autonomia il museo, senza il filtro degli adulti, ma guidati dalla consapevolezza acquisita di ciò che possono trovarci. Passano di sala in sala, esplorano con lo sguardo ogni vetrina, passano al setaccio ogni oggetto, tornano indietro, ripassano più volte negli stessi punti e più cercano animati dal desiderio di essere la squadra vincente e più assimilano quello che guardano.


Per me questo aspetto è fondamentale. Il rapporto diretto con il luogo museo. Con l’opera d’arte. L’esplorazione libera e personale per interiorizzare l’esperienza. Una bella esperienza. Fatta di emozione, divertimento, libertà di esprimersi. Senza l’oppressione di divieti o di atteggiamenti culturalmente esigenti dell’adulto accompagnatore.

I bambini esplorano liberamente le sale del museo senza mediazione dell’adulto

A questo punto so che sono pronti. Pronti ad accogliere i contenuti. La storia che custodisce il mio museo. E decretata la squadra vincitrice, li porto davanti a ciascuno dei tre oggetti e ne racconto la storia che a sua volta ne narra un’altra. Quella di chi a Palazzo Sorbello ci ha vissuto e ha dato una storia a questi oggetti. Mi sorprende ogni volta come, a questo punto del nostro percorso insieme, i bambini vengano totalmente rapiti dalla storia che racconta il museo. Il loro sguardo ipnotizzato, l’ascolto attento, le domande spontanee, la proiezione del loro vissuto quotidiano su questi oggetti del passato apparentemente estranei sono tutti positivi segnali della riuscita del progetto educativo.


E la riprova è che quando un progetto educativo museale è ben strutturato non solo riesce a creare sinergie proficue con il mondo della scuola, integrando o completando i programmi didattici scolastici con attività uniche nel loro genere, ma soprattutto riesce ad instillare nel bambino quel senso di meraviglia che si imprime nell’anima e che ti spinge a tornare in questo luogo misterioso e magnetico, pieno di possibilità esplorative del mondo e di sé, chiamato museo.

Ma questo accade solo sperimentando, osando. E se un progetto educativo è valido lo scopri solo sul campo quando si rivela efficace rispetto al tuo obiettivo.

Visita finale al museo, tutti ipnotizzati da Peter Rabbit davanti alla vetrina degli albi illustrati dei bambini di Palazzo Sorbello di primo Novecento

Insegnanti di tutta Italia, vi aspetto quindi con le vostre classi a Palazzo Sorbello! Per informazioni scrivetemi ad arte@fondazioneranieri.org