Educare lo sguardo con gli albi fotografici

Educare lo sguardo con gli albi fotografici

6 Marzo 2019 Off Di Claudia Pazzini

Qualche tempo fa sono andata a vedere Libri per bambini con il culto dell’immagine, una mostra sugli albi fotografici per bambini tanto interessante quanto rara nel suo genere, allestita presso la Fondazione Pastificio Cecere e curata dall’associazione Cartastraccia e da Alessandro Dandini De Sylva. Interessante perché l’albo fotografico per bambini è una tipologia piuttosto di nicchia e forse un po’ sottovalutata: a parte qualche sporadico cartonato nella fascia prescolare, è molto difficile imbattersi nell’uso della fotografia nell’editoria per l’infanzia, maggiormente in Italia che all’estero. Nell’era dell’immagine, spesso i bambini entrano in relazione con il linguaggio fotografico molto presto, giocando con tablet e smartphone in età precoce. Ma quante delle immagini assorbite passivamente ogni giorno vengono decodificate dal bambino? Sono immagini di qualità, capaci di contribuire allo sviluppo del senso estetico e del senso critico del suo piccolo fruitore? Ritengo sia molto importante porsi queste domande per poter fare poi scelte consapevoli nell’educazione dello sguardo dei bambini, sia come genitori che come educatori. Sì, lo sguardo necessita di essere educato per diventare capace di distinguere il buono e il bello e per rifiutare il mediocre.

I libri di Tara Hoban alla mostra Libri per bambini con il culto dell’immagine


Di recente, Anna Castagnoli e Leyla Vahedi hanno contributo a censire il meglio della produzione di albi fotografici per bambini in Italia e all’estero e da qualche anno a questa parte il dibattito sul tema si è rianimato attraverso incontri, workshop, mappature bibliografiche, progetti educativi un po’ in tutta Italia. Molte sono le potenzialità dell’albo fotografico per bambini, non tutte pienamente esplorate. Alcuni tra i libri
della mostra che maggiormente mi hanno colpito esemplificano efficacemente modalità e contesti in cui il medium fotografico si rivela insostituibile per veicolare un certo racconto, una certa atmosfera, un certo immaginario. Molto dipende dall’abilità e dal senso artistico del fotografo coinvolto nel progetto.

Much Loved di Marc Nixon, Abrams image.

Much loved del fotografo irlandese Marc Nixon è stato il libro che mi ha suscitato maggior senso di meraviglia ed emozione. Il progetto originario riguardava una mostra fotografica e un sito web che in soli 3 mesi ottenne 4 milioni e mezzo di visitatori. Sfogliando il libro, una lunga carrellata di ritratti fotografici di orsetti, pelouches, coniglietti ha attirato immediatamente la mia attenzione: alcuni sono sdruciti, altri sporchi, altri ancora menomati. La prima reazione è di spaesamento. Perché fare un libro su oggetti vecchi e rotti? In cerca di risposte, inizio a leggere le sintetiche biografie accanto alle immagini e tutto diventa chiaro: ciascuno di loro ha una sua storia. Sono stati compagni di giochi di bambini ormai adulti che hanno conservato per affetto questi amici malconci. Alcuni di essi sono persino sopravvissuti ai loro proprietari mantenendone in vita il ricordo. E’ stata empatia a prima vista. Nella dedica iniziale del libro, Nixon con poche sentite parole, dà una luce nuova a questi oggetti così vissuti ed inutili agli occhi dei più:

“When everything was unknown, they were there.

When anything could happen, they where there.

These repositories of hugs, of fears, of hopes, of tears, of snots and smears. (…)

These silent witnesses, these constant companions, defenders of innocence”.

Marc Nixon

©   Much Loved di Marc Nixon, Abrams image.

“Loro ci sono sempre stati, i custodi di abbracci, paure, speranze. Testimoni silenziosi, compagni presenti, difensori dell’innocenza”. La ricerca fotografica di Marc Nixon fa leva sulla trasformazione visiva di uno scarto in opera d’arte. Quale impatto potrebbe avere nell’immaginazione di un bambino un libro come questo? Come rivoluzionerebbe il concetto di bruttezza e di rifiuto nel loro approccio critico alla realtà? Quante attività proficue potrebbe svolgere un insegnante con uno strumento del genere? Much loved è un libro che rischia di essere definito “difficile” da proporre ai bambini a causa del tema scomodo del deperimento materico, della repellenza e dell’inutilità degli oggetti rotti e vecchi. Al contrario, è di libri come questo di cui si avrebbe maggiormente bisogno nella società odierna. Ossia di libri capaci di cambiare lo sguardo. Di aprire la mente. Di rendere visibile l’invisibile. Non posso evitare di pensare a quanti progetti didattici interessanti si potrebbero svolgere con Much loved anche all’interno dei musei per veicolare il senso dell’antichità degli oggetti e il loro valore. Mi sono ripromessa di utilizzarlo e lavorarci su con le scuole molto presto.
Di sorpresa in sorpresa, scorrendo lo sguardo lungo gli scaffali della mostra, il mio sguardo è stato catalizzato da una bambina dal viso furbetto su un libro giapponese: Mirai chan, libro fotografico di Kotori Kawashima.

Mirai chan di Kotori Kawashima, Nanarokusha, 2001.

La macchina fotografica di Kotori Kawashima segue con discrezione i momenti della giornata di una bambina, figlia di amici, chiamata Mirai, che significa “futuro”, per un anno, nella suggestiva isola di Sado, in Giappone. L’ambientazione quasi fiabesca di quest’isola, caratterizzata da una natura rigogliosa e da antiche tradizioni, trasporta subito in un’altra dimensione, dove tutto è visto dal punto di vista della bambina, che raramente è messa in posa. La presenza dell’obiettivo fotografico è quasi impercettibile grazie ad una sapiente scelta delle inquadrature e all’onestà della narrazione visiva. Con Mirai passeggiamo sotto la neve, assaggiamo la neve, saliamo sugli alberi, mangiamo un po’ controvoglia, ci divertiamo, torniamo alla nostra infanzia, al gusto per le cose semplici misto ad un pizzico di nostalgia per il passato. La spontaneità, la dolcezza e quel non so che di selvaggio di Mirai sono la forza di questo libro. Un pezzettino di Mirai lo porti inevitabilmente a casa con te, come un vecchio ricordo riaffiorato alla memoria.

  © Mirai chan di Kotori Kawashima, Nanarokusha.

Se in Mirai chan l’uso della fotografia ha una valenza narrativa e descrittiva, come spesso è riscontrabile negli albi fotografici per bambini, esiste, in particolar modo in Francia, una produzione di libri visuali chiamati imagiers, in cui spesso la fotografia è usata per stimolare il pensiero critico e per affinare la capacità di lettura delle immagini simboliche. Di questa tipologia, la mostra Libri per bambini con il culto dell’immagine esponeva una ricca bibliografia di titoli di Tara Hoban, una fotografa americana pioniera del genere che ha realizzato libri di grande impatto visivo, ma sono francesi i tre imagiers che ritengo di maggior pregio tra quelli esposti. Il primo, il mio preferito, è C’est qui le petit? di Corinne Dreyfuss e Virginie Vallier.

C’est qui le petit? di Corinne Dreyfuss e Virginie Vallier, Editions Thierry Magnier.

In questo albo la fotografia si rivela in tutto il suo potere iconico ed evocativo attraverso un sapiente accostamento di immagini che stimolano l’osservazione, la riflessione, la comparazione, l’immaginazione e l’approccio critico. Il titolo è volutamente provocatorio e offre una chiave di lettura per la sequenza di immagini apparentemente non attinenti tra loro: è più piccola la criniera del leone o i capelli ricci di un bambino? E’ più grande il palloncino che gonfia un bambino o quello di una mongolfiera? E’ più piccola Cappuccetto Rosso o il lupo cattivo? Tutto dipende dalla prospettiva da cui si guarda il mondo. E in questo il taglio fotografico delle immagini è fondamentale per veicolare il messaggio del libro che sovverte un po’ il luogo comune per cui le cose degli adulti sono più grandi (e importanti) di quelle dei bambini. La differenza tra una relazione passiva con immagini standardizzate e la fruizione consapevole del linguaggio visuale attraverso la mediazione di accurati libri fotografici (e non) per bambini come questo è sostanziale e, aggiungerei, ormai imprescindibile.

© C’est qui le petit? di Corinne Dreyfuss e Virginie Vallier, Editions Thierry Magnier.

Non è difficile immaginare fin dove possa estendersi il potenziale di questo tipo di libri fotografici per bambini, soprattutto per quanto riguarda gli imagiers che lavorano sull’associazione di immagini. Le più avanzate teorie pedagogiche hanno dimostrato da tempo come le immagini siano un veicolo di apprendimento estremamente efficace. Oltre alla conoscenza del mondo, degli animali, degli oggetti, un imagiers può essere strumento di alfabetizzazione e soprattutto, oggigiorno, strumento di inclusione. Inclusione per bambini con difficoltà di apprendimento, con bisogni speciali, come anche per bambini figli di emigrati con difficoltà linguistiche.
Un esempio particolarmente raffinato e poetico è Des signes et moi di Cendrine Genin e Severine Thevenet, un tesoro scoperto in mostra.

Des signes et moi… di Cendrine Genin e Severine Thevenet, Ane Baté.

Un libro ambizioso, ben costruito, che fa del linguaggio dei segni non solamente uno strumento di comunicazione per pochi in difficoltà ma per tutti. Il linguaggio dei segni ci riguarda. Tutti. Nessuno escluso. Se tutti fossimo in grado di comunicare anche con pochi, essenziali segni, la sordità non sarebbe più oggetto di discrimine. Des signes et moi, attraverso delle fotografie curate, poetiche e affiancate con sagacia, si fa strumento di divulgazione del linguaggio dei segni, trasformandolo in un linguaggio segreto tra pari, dove il bambino affetto da sordità può sentirsi uguale agli altri, coinvolto in un gioco divertente che diventa comunicazione inclusiva. I criteri di comparazione analogica tra le immagini rendono ancora più immediato l’apprendimento del nuovo linguaggio perché la fotografia si imprime nella memoria e con essa il segno ad essa abbinato e il suo significato. Con una rapida sfogliata ne ho memorizzati diversi anch’io e ancora li ricordo. Provare per credere. Soprattutto nelle scuole.

© Des signes et moi…di Cendrine Genin e Severine Thevenet, Ane Baté.

Infine, concludo questo primo, lungo post, con un titolo per i piccolissimi, perché non è mail troppo presto per l’alfabetizzazione visiva! E’ noto che i bambini in tenera età abbiano maggior facilità nel decifrare immagini in bianco e nero e fotografie piuttosto che illustrazioni o disegni che, per loro stessa natura, implicano una stilizzazione e un’astrazione per decodificare la realtà. Il miglior cartonato visto in mostra che valorizza l’immediatezza della fotografia e ne potenzia le possibilità espressive, combinandola con silhouettes in bianco e nero, è l’ Imagier de la plage di François Delebecque che ha realizzato diversi titoli con questa combinazione di linguaggi visivi.

Imagier de la plage di François Delebecque, Les Grandes Personnes.

Il libro si presenta come un piccolo catalogo di attività e oggetti legati al mare e alla spiaggia e le racconta con una serie di fotografie che però hanno la particolarità di essere nascoste sotto delle finestrelle con delle silhouettes che rappresentano gli stessi oggetti delle foto con lo scopo di semplificare la decodificazione dell’immagine fotografica e dei dettagli in essa presenti. Il contrasto visivo del bianco e del nero consente una rapida memorizzazione delle forme e il confronto con la fotografia sottostante media il rapporto con la realtà circostante rendendola più accessibile e comprensibile al bambino.
Ecco, questi sono i 5 tesori che ho scoperto alla mostra Libri per bambini con il culto delle immagini e che porterò d’ora in poi nel mio bagaglio di strumenti di lavoro per le mie attività didattiche museali. Credo sia molto significativo il fatto che siano cinque titoli stranieri. In Italia sono stati ripubblicati negli ultimi anni un paio di titoli storici come
Tutto da me di William Wondriska per Corraini e Questa non è una pietra di Sasek per Quodlibet. Topipittori, editore indipendente noto per l’ attenta ricerca estetica per i titoli del suo catalogo, ha pubblicato Questa notte ha nevicato di Ninamasina e Sonno gigante, sonno piccino, di Giusi Quarenghi e Giulia Sagramola, due albi fotografici presenti anche in mostra, dove le autrici giocano con le fotografie per inventare nuove storie. A parte qualche audace tentativo come questi ultimi, i libri gioco di Mauro Bellei e pochi cartonati fotografici per i più piccoli, molta strada resta da percorrere per trovare sugli scaffali delle librerie titoli come quelli che ho evidenziato, ossia straordinari strumenti per sviluppare le competenze visuali, ormai imprescindibili, eppure ancora tanto sottovalutate, come ben spiega Alessia Zanin Yost. Ben vengano mostre come questa conclusasi da poco, con grande successo di pubblico, a rialzare l’attenzione e, perché no, anche la domanda di albi fotografici di qualità.